Per qualche motivo sembra ci sia ancora confusione su cosa sia analogico e cosa digitale.
Eliminiamo i dubbi partendo dalle definizioni generali di questi paradigmi.
- E’ analogico tutto ciò che mediante una macchina fisica fa dipendere grandezze fisiche da altre, siano queste meccaniche, elettriche, ottiche, chimiche o acustiche.
- E’ digitale tutto ciò che, invece di trattare esclusivamente grandezze fisiche, opera con delle loro rappresentazioni simboliche per elaborare, memorizzare o trasmettere l’informazione in esse contenuta.
Il discorso non è moderno come sembra, anzi risale alla notte dei tempi, cioè al momento in cui l’Umanità ha cominciato a sviluppare modelli concettuali delle cose fisiche, ovvero quella che oggi chiamiamo Matematica.
Queste definizioni sono un caso particolare del dualismo “fisico o simbolico” e naturalmente non si applicano soltanto all’elettronica.
Una volta si vedeva bene la differenza tra una pietra e il disegno di una pietra, non c’erano dubbi su cosa fosse fisico e cosa simbolico (se non altro per il peso), ma in tempi recenti siamo così immersi nella tecnologia da non capire più facilmente a quale categoria appartiene una certa cosa.
Eppure, con una breve riflessione possiamo stabilire se una certa attività o un certo oggetto sono “analogici” o “digitali” in senso generale, e lasciare che questo ci aiuti poi a capirlo nei casi particolari di nostro interesse.
ESEMPI
- Un orologio meccanico è analogico, perché gli ingranaggi trasmettono e combinano forze, angoli, velocità.
- Fare di conto con carta e matita è digitale, perché il risultato non dipende dal colore della matita o dal tipo di carta ma dai simboli che leggiamo o scriviamo sul foglio.
- Il motore di un’automobile è analogico, sia quando funziona grazie a fluidi e combustioni, sia se è elettrico, perché si muove grazie a correnti e campi magnetici.
- Giocare a scacchi è un’attività digitale, perché non dipende dal tipo di legno, dal peso dei pezzi o dalla velocità dei movimenti ma da simboli e loro posizioni.
- L’interruttore della luce, anche se ha solo i due stati acceso/spento, è analogico in quanto chiude o apre un circuito elettrico.
L’ultimo esempio mostra chiaramente che sistemi con solo due posizioni non sono necessariamente digitali, perché non è detto che questi stati rappresentino un simbolo.
Il termostato a molla di un vecchio scaldabagno ha solo due posizioni, aperto o chiuso, ma nessuno ha mai pensato che fosse digitale. Di esempi del genere se ne trovano moltissimi in tutti campi.
Ora possiamo serenamente smentire il luogo comune “binario = digitale”.
Anche identificare il digitale con l’elettronica è riduttivo: potremmo costruire un computer meccanico esclusivamente con parti fatte di legno e sarebbe comunque “digitale”, perché opererebbe su dei simboli e non su grandezze fisiche. Prima del 1950 ne sono stati realizzati moltissimi.
Del resto, i primi giradischi avevano una puntina, un volano, una tromba e niente valvole, eppure funzionavano.
L’elettronica non è “obbligatoria”, è solo una tecnologia utile per costruire oggetti più compatti e veloci.
In sintesi, la differenza tra analogico e digitale non è nei componenti (tutti fisici) ma nel modo in cui vengono usati.
Di certo non ci sono contrapposizioni tra fisico e simbolico, tra analogico e digitale, anzi è grazie alla sinergia di questi paradigmi che riusciamo a vivere, pensare alle cose, sognarle; e trasformare, magari, i sogni in realtà.
Quello che tutti i progettisti di oggetti fanno è lavorare sugli elementi fisici (quando sono al banco di lavoro) oppure sui simboli che li rappresentano (se hanno un foglio o un computer tra le mani).
Se la corrispondenza è ben verificata (di solito la scienza si assicura che lo sia) entrambe le modalità sono valide e si può passare dall’una all’altra a convenienza. Anche questo possiamo considerarlo un dualismo molto utile.
Forti del concetto generale, possiamo adesso considerare esempi più aderenti al nostro settore di interesse:
- un resistore è un componente analogico, perché la differenza di potenziale che troviamo ai suoi capi è in analogia con la corrente che vi scorre attraverso (V=RxI)
- un altoparlante è un dispositivo analogico, perché le variazioni di pressione che produce nell’aria sono in analogia con la potenza elettrica trasmessa ai suoi terminali (ad essa proporzionali)
- un CD è una memoria digitale, perché nelle sue tracce contiene la rappresentazione simbolica di un segnale
- un disco in vinile è una memoria analogica, perché le sue tracce hanno larghezza e profondità in analogia con la traccia musicale incisa
- un ADC (Analog to Digital Converter) è sia analogico che digitale perché traduce grandezze fisiche in simboli
- un DAC (Digital to Analog Converter) è sia analogico che digitale perché genera grandezze fisiche a partire da simboli
- un amplificatore è un dispositivo analogico, perché la tensione in uscita è in analogia con quella in ingresso (esattamente proporzionale se e solo se è fedele)
Una prima informazione importante la ricaviamo dai circuiti ADC e DAC, ed è questa:
non c’è una dicotomia obbligata “questo o quello” perché alcuni dispositivi possono essere contemporanaeamente analogici e digitali. Queste cose non si escludono a vicenda.
Soffermiamoci adesso sull’ultimo esempio, perché esso afferisce ad una categoria ben definita di dispositivi che ritroviamo in moltissime applicazioni della nostra vita quotidiana.
I nostri amplificatori audio sono delle macchine elettriche nelle quali entrano ENERGIA e INFORMAZIONE in forma di segnale e ne esce un segnale il più possibile simile nella forma ma più energico, in grado di muovere gli altoparlanti in analogia all’ingresso.
La definizione generale di un amplificatore è la seguente:
“oggetto che a partire da una grandezza fisica genera una grandezza fisica di forma simile ma più energica”.
Questi dispositivi non devono necessariamente gestire elettricità: il servosterzo meccanico delle nostre automobili è un amplificatore poiché riceve la rotazione che diamo al volante e la replica, con molta più forza, alle ruote.
Così come noi non riusciremmo a guidare un autotreno senza un adeguato servosterzo, una sorgente audio non riuscirebbe a pilotare un diffusore senza un adeguato amplificatore.
Gli amplificatori si dicono LINEARI se la grandezza in uscita ha la stessa identica forma di quella in entrata. Fedeltà e linearità sono termini equivalenti, per nulla facili da ottenere da un apparecchio reale.
Visto che siamo tornati in campo audio, una domanda interessante potrebbe essere:
“esistono gli amplificatori digitali?”
La risposta è NO, ed è facile verificarlo perché tutti gli amplificatori sono analogici per definizione dato che la loro funzione mette in analogia fisica l’uscita con l’ingresso.
Vediamo nel dettaglio cosa succede quando un amplificatore dispone di un “ingresso digitale” di qualche tipo (ottico, coassiale, USB o altro standard di comunicazione).
All’interno di un simile apparechio è sempre presente un DAC, ossia un circuito che mette in comunicazione il “mondo dei simboli” con il “mondo fisico” operando una conversione dove ad ogni simbolo viene associata una particolare grandezza fisica dello stesso tipo di quella in ingresso, e a valle di questo troviamo… un amplificatore convenzionale!
Ora è evidente che non siamo in presenza di un inesistente “amplificatore digitale” ma di un contenitore dove sono racchiusi più dispositivi, l’ultimo dei quali al 100% analogico.
E poi cosa significherebbe “amplificare” un simbolo? Non certo scriverlo più in grande…
Chiarito questo “equivoco”, e volendo catalogare più seriamente gli amplificatori, tutti analogici, possiamo distinguere due categorie: quelli a “flusso” e quelli a “impulsi”.
Nella prima categoria, la più datata, stanno le classi di amplificazione A, AB, B, C e loro varianti.
Nella seconda categoria stanno le classi D, E, T e la nuova classe HS, inventata e registrata da ItaliAcoustic, che è spiegata più in dettaglio qui